Dovrei introdurre il Carnevale di Cerimonia (1988) – brano che volevo potente, tribale, popolare – con il testo che con ogni probabilità, più di altre letture, mi ispirò nella sua composizione: penso ad un bellissimo e breve saggio scritto tanti anni fa, Rumori di Jacques Attali, libro che attinge da tante fonti spesso purtroppo non rivelate, ma ugualmente denso di ardite previsioni e suggestive esasperazioni. Ed invece scelgo le parole molto più recenti ed efficaci di Pietro Piro che, magistralmente e con grande grazia, fa propria la lezione di Bachtin:
«Durante il Carnevale, tutti i valori che stabilivano le norme del vivere comune erano sospese e rovesciate. La donna che generalmente era pudica e riservata, si spogliava in pubblico e bestemmiava, l’uomo sobrio e severo si abbandonava all’ubriachezza molesta e rumorosa. L’uomo si travestiva da donna e la donna da uomo. La violenza del pugno e del bastone erano tollerate. Il ricco s’intrufolava nei letti delle povere serve e le serve si accomodavano al lungo tavolo della nobiltà, servite da signore travestite da domestiche. I balli vorticosi, prolungati sino alla perdita dei sensi, non prevedevano distinzioni di classi. Il ventre prendeva il predominio sul cervello e la fornicazione, finalmente tollerata, si mostrava anche in pubblico, senza il timore della ritorsione. L’ordine del discorso era rovesciato, la parola del potere era in bocca ai diseredati e i potenti parlavano la lingua dell’escluso. La fame era sconfitta dall’abbondanza e la sobrietà dal vino che scorreva a fiumi. La lotta di classe era solo un ricordo lontano.» (Pietro Piro, “Introduzione” in Nuovo Ordine Carnevale, Mimesis, 2013)
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