Pittore e intellettuale, massimo esponente del Rinascimento tedesco, Albrecht Dürer è anche un eccellente ritrattista, forse davvero il più grande di tutti. I suo tormenti uniti alla sua meticolosa precisione mi hanno sempre profondamente affascinato. Soprattutto sono gli autoritratti, sempre sinceri sia nella loro impietosa malinconia sia nell’eventuale loro manifesto compiacimento e orgoglio, come quando, rappresentandosi addirittura con le sembianze di Cristo, Dürer rivendica il suo ruolo d’artista insieme all’origine divina della propria funzione. Ho dedicato, qualche anno fa, al suo Autoritratto con pelliccia, un video interattivo (Operina aleatoria n.21), già pubblicato nello spazio Artlab di Mac Peer (e da adesso visibile anche qui di seguito dopo il testo). L’autoritratto del 1500 è veramente unico non solo per la sua originalità e importanza storica (è il primo ritratto frontale realizzato in Germania) ma anche per altri tratti meno facilmente esplicabili. Dürer fissa l’obiettivo, eppure il suo sguardo non incrocia il tuo, lo attraversa, trapassandolo. “Dürer guarda senza vedere. Il suo sguardo diventa un non sguardo” e con questa tecnica, la pittura “giunge alla negazione del tempo rendendo il rappresentato infinitamente durevole”, come con acuta intelligenza osserva Lucia Corrain in Le figure del Tempo (1987)
Dürer. Operina Aleatoria n.21
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