MARKETING, COMUNICAZIONE, SEMIOTICA: STRATEGIE ENUNCIATIVE DELLA COMPLICITÀ
2. Strategie enunciative della complicità
2.0.Premessa
Nelle pagine precedenti sono state discusse le ragioni di un nuovo approccio allo studio degli strumenti strategici e tattici a disposizione del mezzo pubblicitario. Sappiamo che la considerazione della pubblicità quale strumento di marketing inserito armonicamente in una ampia strategia è data teoricamente per acquisita. Ora, siccome non pare affatto certo che le agenzie pubblicitarie, pur ammettendo che esse subordinino in modo rigoroso le scelte creative ai dettami della strategia di marketing proposta dall’azienda, utilizzino strumenti specifici per il controllo della coerenza delle singole scelte tattiche, emergono allora alcuni spunti per una discussione critica. Dalla lettura dei recenti manuali di marketing e di pubblicità si ricava addirittura l’impressione che le scelte pubblicitarie operate nello stadio successivo alla stesura della copy-strategy non possano o non debbano essere guidate da criteri strategici. [9] Da una parte si affida alla pubblicità il conseguimento di determinati obiettivi individuati dalla strategia di marketing, dall’altra non si specifica secondo quali criteri (e con quali controlli) si operino le scelte conseguenti. Se, infatti, la copy-strategy è quel fondamentale documento «che definisce l’evoluzione della marca nella mente dei consumatori nel corso del tempo» (Brochand e Lendrevie, 1986, tr. it. p.198), essa tuttavia, pur «spiegando ciò che il messaggio pubblicitario deve essere (cioè la sostanza)», di esso non fornisce indicazioni su «quale forma precisa e specifica deve assumere.» (ibidem) L’affermazione pare, oltretutto, in contraddizione con la pretesa di incaricare la copy-strategy di indicare «il tono, la personalità, l’atmosfera generale che la pubblicità deve comunicare» (ibidem), poiché si tratta di variabili che hanno strettamente a che fare con la forma assunta dal messaggio pubblicitario. Tale contraddizione si inserisce in un contesto che è già piuttosto confuso: da una parte si auspica una pubblicità ‘consapevole’ degli obbiettivi che le assegna la strategia di marketing, dall’altra si pretende che l’agenzia pubblicitaria si doti di un sapere strategico che si fa carico pressoché di tutti i parametri a disposizione del marketing (trascurando inspiegabilmente quelli prettamente pubblicitari). Quando la copy-strategy è chiamata a fornire indicazione precise su quelle variabili che dovrebbero competerle, delega il compito al “reparto creativo” dell’agenzia, come se le scelte relative ai contratti enunciativi o alla disposizione argomentativa non necessitassero di contributi diversi da quelli, peraltro indispensabili, forniti dall’estro e dalla sensibilità del copywriter.
Stiamo ovviamente semplificando la questione poiché le decisioni che riguardano la pubblicità, così come quelle relative ad una politica di marketing, sono organizzate in processi molto articolati che variano sensibilmente di caso in caso. È tuttavia sorprendente che una logica di marketing, che attribuisce grande importanza strategica alla pubblicità, non tenga in considerazione lo studio degli strumenti specifici di cui quest’ultima può dotarsi. È stato chiesto al mondo della pubblicità di assumere il linguaggio e la mentalità del marketing, di ragionare in termini di obiettivi e strategie, di farsi carico di problemi di segmentazione e di selezione di target group di riferimento. E le risposte, in questo senso, sono state soddisfacenti: il fatto che un libro come Le publicitor, considerato un buon manuale di pubblicità, risulti essere, in definitiva, un succinto testo di marketing che dedica molte pagine alla pubblicità, ci pare assai indicativo in proposito. Ma, come dicevamo, gli strumenti di analisi sono accettati e utilizzati nella misura in cui si mostrano in grado di fornire un obiettivo alla strategia comunicativa; quando questi, invece, pretendono di contribuire ai processi decisionali tradizionalmente affidati alla «creatività», l’atteggiamento dei pubblicitari cambia sensibilmente.
Abbiamo introdotto il tema della «creatività» poiché questo sarà sempre presente in modo più o meno esplicito in questa seconda parte della nostra analisi. Da una parte, infatti, la strategia di comunicazione è una questione che si pone, comunque, in termini «creativi»; dall’altra succede che l’utilizzo di strumenti semiotici per lo studio della comunicazione pubblicitaria sia guardato con indifferenza o sospetto. Le ragioni di questo atteggiamento sono già state in parte affrontate; esse sono comunque riconducibili al preconcetto secondo il quale gli strumenti d’analisi (di qualunque tipo) rappresentino un limite insidioso per la creatività, e alla convinzione, non priva di fondamento, che il mestiere del pubblicitario sia per vocazione destinato alla asistematicità. Riteniamo, comunque, che le ragioni di tali obiezioni siano destinate a decadere. Non si comprende, anzitutto, perché l’affinamento tecnico debba necessariamente comportare delle limitazioni per i processi creativi, dai quali, ovviamente, sarà sempre e comunque impossibile prescindere. E, del resto, l’idea che la creatività sia strumento e patrimonio esclusivo della leva pubblicitaria non ha ragione d’essere: in realtà le decisioni prese in altre aree e altre fasi del piano di marketing, pur avvalendosi di più o meno sofisticati strumenti di indagine, sono il risultato di processi abduttivi, di ipotesi la cui postulazione richiede una buona dose di creatività. [10]
Concludiamo questa introduzione con due semplici precisazioni (che sono poi delle brevi ricapitolazioni). La prima è che, come abbiamo spesso lasciato intendere, il nostro interesse è specificamente indirizzato agli annunci stampa (la cui efficacia è probabilmente determinata in gran misura dalla scelta del tipo di contratto comunicazionale e strategia enunciativa, dall’individuazione di zone di concorrenza discorsiva pertinenti e dalla selezione del tipo di disposizione argomentativa). La seconda, strettamente legata alla prima, è che quando abbiamo parlato degli «strumenti specifici della comunicazione pubblicitaria» facevamo appunto riferimento alla comunicazione attraverso annunci stampa. Quindi, se in precedenza ci siamo soffermati su problemi che riguardavano il comportamento di consumo e la pubblicità nel suo complesso, la trattazione che segue avrà invece un interesse apparentemente più circoscritto (anche se siamo convinti che buona parte delle questioni che affronteremo riguardo agli annunci stampa non siano affatto estranee ad altre forme di comunicazione pubblicitaria). Infine vogliamo sottolineare che la seguente trattazione aspira a collocarsi coerentemente quale conseguenza della discussione affrontata nel primo capitolo (Le due produzioni) e quale premessa alle Conclusioni dell’ultima parte del nostro lavoro.
Tratto da Gianni Cresci, Marketing, comunicazione, semiotica. Strategie enunciative della complicità. Università di Bologna, 1991
Paragrafo precedente: 1.5.2. Strategia di comunicazione e strategia enunciativa
Paragrafo successivo: 2.1 La cooperazione interpretativa
NOTE
9. Col termine copy-strategy indichiamo «il documento che riassume e formalizza le scelte strategiche compiute per il perseguimento degli obiettivi di comunicazione.» (Gogna, 1988, p.86). Precisiamo anche che questo termine non abbiamo inteso riferirci ad un preciso stile pubblicitario. Ci interessa invece della copy strategy la generica aspirazione all’organizzazione delle informazioni disponibili, quale fase preliminare alle scelte creative.
10. Sul tema del rapporto tra creatività (“inventiva”) e abduzione si veda Bonfantini (1986)
BONFANTINI, Massimo A.
1986 “Invenzione e abduzione” in R.Boeri, M.Bonfantini e M.ferraresi, des., La forma dell’inventiva, Milano, Unicopli
BROCHAND, Bernard e LENDREVIE, Iacques
1983 Le publicitor, Paris: Jurisprudence Gènérale Dalloz (tr.it, Le regole del gioco, Milano, Lupetti, 1986)
GOGNA, Germano
1988 Voce “Copy strategy” in Mariani e Cortese, eds. Il dizionario della pubblicità e della comunicazione, Milano, Lupetti
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