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Maffesoli sociologia semiotica del consumo - Marketing

Tattiche versus Strategie. Complessità e sua riduzione

L'inquetudine metodologica delle teorie di marketing

Il marketing e l’inquietudine metodologica

08/01/2015 Commenti disabilitati su Tattiche versus Strategie. Il consumo come tramite di socializzazione Views: 4319 Testi

Tattiche versus Strategie. Il consumo come tramite di socializzazione

MARKETING, COMUNICAZIONE, SEMIOTICA: STRATEGIE ENUNCIATIVE DELLA COMPLICITÀ

1 – LE DUE PRODUZIONI

1.2 Tattiche versus Strategie. Complessità e sua riduzione (seconda parte)

Ancora dobbiamo tornare al concetto di “trasversalità” nell’accezione che abbiamo poc’anzi esposto. Avanziamo l’ipotesi che l’adozione di nuovi parametri possa legittimare una sorta di messa tra parentesi della nota contrapposizione tra apocalittici e integrati proposta da Eco negli anni sessanta (Eco, 1964). Questa sospensione del giudizio non vuol essere una rinuncia, l’ammissione dell’insolubilità del problema. Si tratta più semplicemente di una scelta paradigmatica che pertinentizza alcuni tratti della questione e non altri. Secondo la prospettiva che stiamo adottando, possiamo infatti considerare valida l’interpretazione del consumo come tramite di socializzazione e partecipazione, senza che questa assunzione comporti la considerazione del consumatore come soggetto passivamente manipolabile. Rovesciando i termini della questione, che tuttavia rimane la stessa, potremmo considerare il consumo come un atto da parte di un attore sociale che si muove secondo logiche ti tipo tattico, nell’accezione che De Certau ci fornisce del termine.
L’atto di consumo, allora, inteso come mossa tattica e appropriativa, risponde a proprie determinate funzioni, le quali possono essere ricondotte a due principali: quella di riduzione della complessità e quella di partecipazione alla complessità del sistema. Le due definizioni appariranno senz’altro più chiare dopo che avremo definito il concetto di complessità sociale. Il nostro tentativo è, ancora una volta, di reinterpretare le due funzioni del consumo utilizzando quei parametri che ci hanno implicitamente fornito De Certau e Maffesoli. Accettiamo come dato di partenza la definizione del consumo come funzione sociale determinante per la riduzione della complessità sociale poiché, come abbiamo sottolineato, “producente identità sociali”. Ma vogliamo sottolineare di tale comportamento quelle caratteristiche ti tipo tattico, e quindi tipicamente “popolari”, che in questo caso rispondono all’esigenza di semplificare ciò che appare complesso, di discretizzare un continuum altrimenti difficilmente manipolabile. È inoltre fondamentale, per la prospettiva che ci siamo posti, tenere conto del carattere interazionale del rapporto che viene a determinarsi fra la strategia inscritta nell’oggetto e l’atto di consumo. Detto in altri termini, l’identità sociale è il risultato di una doppia produzione tattico-strategica che mette in gioco sia le operazioni previsionali dell’emittente sia le mosse interpretative del destinatario.
La riduzione della complessità diverrebbe allora nient’altro che una mossa tattica, un “gioco d’astuzia”, l’unica possibilità da parte del consumatore di controllo parziale di un sistema di dominio complesso e sfuggente. La prospettiva è paragonabile alla chiave interpretativa che del consumo ci forniscono Mary Douglas e Baron Isherwood. «Quando avremo ricollocato l’individuo nel reticolo dei suoi obblighi sociali e reinserito il consumo all’interno del processo sociale, vedremo che i beni danno un contributo estremamente positivo alla vita razionale, soprattutto per quanto concerne il ragionamento metaforico. Questo libro sostiene la tesi che l’essere razionale non può riuscire a comportarsi razionalmente, a meno che il mondo che lo circonda non sia dotato di una coerenza e regolarità. Per continuare a pensare in modo razionale, l’individuo ha bisogno  di un mondo intellegibile e questa intelligibilità dovrà essere dotata di contrassegni visibili.» (Douglas e Isherwood, 1979, tr. it, p.7)
Secondo i parametri che abbiamo introdotto, ci pare di poter cogliere nel bisogno «coerenza e regolarità» e di un mondo «intelligibile», le stesse ragioni di un consumo che si pone come mossa tattica di riduzione della complessità. Non ci sentiamo tuttavia di poter condividere l’attribuzione al consumo di funzioni «estremamente positive». La scelta di vedere nella pratica del consumo una tattica difensiva mette, al contrario, in risalto il carattere “povero” e in qualche modo obbligato di tale comportamento. Come abbiamo già più volte sottolineato, la tattica vive infatti parassitariamente nello spazio delineato dalla strategia. E tuttavia non per questo deve essere sottovalutata la portata e l’incidenza della produzione di senso messa in opera dal consumatore che, pur costretto dalla e nella complessità del sistema sociale in cui si trova a vivere, mostra allo stesso tempo una significativa capacità e possibilità di azione all’interno del sistema stesso.

Introduciamo adesso un altro autore le cui posizioni possono a nostro avviso rivelarsi molto importanti quale sfondo teorico della presente trattazione. Ci riferiamo all’antropologo e filosofo tedesco Arnold Gehlen. Non siamo qui principalmente interessati al suo concetto di post-histoire e di “progresso come routine” che Gianni Vattimo vede come passo teorico fondamentale per la definizione del post-moderno (Vattimo, 1985, p.15); ci interessa piuttosto la tesi di Gehlen, niente affatto secondaria nella sua opera complessiva, secondo la quale l’uomo è, per costituzione biologica, assai povero istintualmente e soprattutto carente di dotazione organica di strumenti. Da ciò si ricava il carattere necessario della tecnica – e dei prodotti, delle merci che essa produce, vorremmo aggiungere – «proprio a partire dalla constatazione delle imperfezioni degli organi umani. Abbiamo infatti delle tecniche d’integrazione che rimpiazzano quelle capacità che non sono possedute dai nostri organi, delle tecniche di intensificazione che potenziano delle facoltà già presenti nel nostro corpo, e infine delle tecniche di agevolazione che alleggeriscono il lavoro dei vari organi.» (Fadini, 1988, p.159) Il pensiero di Gehlen arricchisce il quadro teorico che stiamo delineando e fornisce, a nostro avviso, parametri utili e suscettibili di ulteriori approfondimenti per una griglia interpretativa del comportamento di consumo e delle funzioni nelle società complesse, con particolare riguardo al rapporto che si instaura tra uomo e oggetto. È oltretutto noto e ampiamente discusso il rapporto tra Gehlen e Luhmann. «Quest’ultimo deve probabilmente la sua categoria di “riduzione della complessità” anche a quella di Entlastung, ma ciò non può far mettere tra parentesi il diverso atteggiamento dei due pensatori di fronte alla modernità: diffidente e con molte riserve quello di Gehlen, maggiormente affermativo quello di Luhmann.» (ibidem, p.264) I due autori quindi si sono occupati, con angolazioni diverse, dello stesso tema che stiamo trattando in questo nostro capitolo. Entrambi convergono infatti nella definizione di uno schema d’azione producente stabilizzazione di conflitti e di tensioni tipici delle società complesse. Non entreremo tuttavia in merito ai punti di convergenza e divergenza tra le posizioni teoriche dei due filosofi, come, del resto, non compiremo una trattazione sistematica del problema della complessità sociale. Ci stiamo infatti muovendo, per dirla con De Certeau, come “cacciatori di frodo” proponendo l’uso parziale, arbitrario e motivato, degli autori chiamati in causa. E questo modo di procedere, così emblematicamente simile alle tattiche appropriative descritte dall’antropologo e storico francese, è qui apertamente dichiarato, ritenuto utile se non addirittura indispensabile. Nella prospettiva in cui ci siamo posti, autori come Gehlen e Luhmann – ma l’osservazione vale anche per Maffesoli e per lo stesso De Certeau – si rivelano utili proprio perché le loro singole posizioni, estrapolate dal contesto della loro opera complessiva, possono acquisire un senso nuovo nel contesto che noi gli assegniamo. Non è lo stesso Maffesoli a sostenere che «non si scoprono “nuovi mondi” nel campo della scienza dell’uomo: dobbiamo accontentarci di svelare questo o quell’aspetto dello stare-insieme»? (Maffesoli, 1990, p.24) Alla luce di quanto abbiamo appena detto, prima di passare alla delineazione dei tratti fondamentali della teoria sociosistemica di Luhmann, riteniamo necessarie alcune ulteriori precisazioni riguardo all’uso che del termine complessità sarà fatto nella nostra trattazione.
Come vedremo, la definizione di «complessità» fornitaci da Luhmann, se si rivela assai feconda per la descrizione di alcuni tratti fondamentali delle società contemporanee avanzate, essa tuttavia potrebbe risultare di difficile utilizzo se non la si estrapola dall’angusto contesto teorico dell’autore. Per dirla in altre parole, utilizzeremo il termine per descrivere fenomeni che non riguarderebbero direttamente le questioni sollevate da Luhmann. Secondo la nostra prospettiva, per esempio, la stratificazione di enunciatori e narratori da una parte, e di enunciatari e narratari dall’altra, può essere considerato uno dei fenomeni che mettono in luce le ripercussioni che la complessità sociale produce sulla comunicazione pubblicitaria. In questa stessa direzione sembra muoversi l’articolo di Paolo Mancini Ancora sulla tele-enunciazione politica – Destinatari e complessità sociale, che contiene un’analisi discorsiva di un intervento a Tribuna Politica da parte di un rappresentante del P.C.I. Il problema colto da Mancini è quello del fenomeno della stratificazione (in questo caso di destinatari) di cui abbiamo detto.
L’autore sottolinea come oggi vi siano «numerosi terreni di incontro tra sociologi e semiologi: uno di questi può senz’altro essere l’analisi del discorso televisivo (…)» (Mancini, 1985, p.165). Egli specifica che l’intento del suo articolo «è quello di analizzare, mediante strumenti semiotici e micro-sociologici, alcuni indicatori della complessità sociale», cogliendo con questo l’esigenza – che è anche quella della comunicazione pubblicitaria – «di scelta di destinatari specifici del messaggio all’interno del pubblico indifferenziato delle comunicazioni di massa» (ibidem). Anche noi stiamo tentando, seppure con metodi e parametri diversi da quelli utilizzati da Mancini, di legare questioni come quelle della stratificazione del soggetto di enunciazione e di selezione del target, al problema più generale della complessità sociale.
Passiamo allora a vedere finalmente che cosa intenda Niklas Luhmann per “società complessa”. Secondo il sociologo e filosofo tedesco le società contemporanee avanzate sono sistemi sociali che si rivolgono al proprio ambiente con modalità differenti e tra loro interconnesse. Ogni sistema sociale è dotato di una propria identità collettiva centrata sull’autopoiesis (concetto che Luhmann prende in prestito dalla neurobiologia), ovvero centrata sulla espressione di autonomia e separatezza rispetto all’ambiente. Il sistema sviluppa una differenziazione funzionale mediante la costituzione e specializzazione di sistemi parziali, come risposte autoreferenziali ai disturbi e stimoli dell’ambiente. Come sottolinea Ardigò, per Luhmann ogni sistema parziale sviluppa una molteplicità di strutture disponibili e «ricerca la propria unità e autonomia autopoietica, che si specializza per una distinta funzione del sistema societario». (Ardigò, 1990, p.20) Si tratta di sistemi che sono contemporaneamente aperti e chiusi rispetto ai loro ambenti. Ogni sistema, per produrre comunicazione con altri sistemi parziali e per difendersi dagli impatti ambientali, impiega due diversi tipi di filtri comunicazionali. «Il primo è il filtro con cui il sistema si preclude ad ogni interscambio diretto con l’ambiente (è la chiusura autopoietica). Il secondo filtro serve ad aprire l’interna differenziazione di sistemi parziali di una società (economia, diritto, scienza, politica, religione, istruzione (…)» (ibidem, p.21)
Ardigò rileva che Luhmann ha adottato il concetto di autopoiesis obliterando però alcune caratteristiche essenziali che il concetto possiede in neurobiologia. Il sociologo italiano si riferisce in particolare alla possibilità di «un’interazione – anche tra due o più organismi sistemici (ciascuno con la propria autopoiesis) – che può giungere fino a generare il superamento delle reciproche chiusure, o dei contatti solo arbitrari, con la produzione ex novo , anche fuori da una previa comunanza linguistica, di un dominio consensuale tra due o più organismi.» (ibidem, p.24) Non ci interessa spingerci oltre nella trattazione; basti qui considerare che la chiusura delle unità sistemiche, espressa nel codice autopoietico, così come la descrive Luhmann, è soggetta a critiche puntuali e largamente condivisibili. Possiamo comunque cogliere dalle stesse parole di Luhmann i problemi fondamentali della complessità sociale e della sua riduzione. «Il problema ancora irrisolto dell’illuminismo riguarda il modo in cui si possono elaborare insiemi eccessivamente complessi di informazioni.» (Luhmann, 1970, p.82) Secondo l’autore «la complessità del mondo, la spaventosa molteplicità di possibilità, deve essere riportata entro una dimensione che possa essere vissuta come espressione di un determinato senso» (ibidem); egli sostiene che non è sufficiente comprendere la complessità del mondo «occorre anche metterla alla portata dell’esperienza vissuta e dell’azione, e di conseguenza ridurla. Ogni incremento delle possibilità che possono essere colte entro il il mondo è privo di senso se non è accompagnato dallo sviluppo di meccanismi di riduzione della complessità, dotati di efficacia adeguata.» (ibidem, p.83)
Di tali meccanismi di riduzione della complessità abbiamo già impostato una lettura che risulta diversa ma non completamente estranea alla prospettiva luhmaniana. Abbiamo cioè proposto di interpretare il consumo come un’azione, una mossa tattica produttrice di senso e riduttrice della complessità; pratica silenziosa e “astuta” che riporta la complessità del mondo a dimensioni segmentate e manipolabili.

Tratto da Gianni Cresci, Marketing, comunicazione, semiotica. Strategie enunciative della complicità. Università di Bologna, 1991

Paragrafo precedente: 1.2 Tattiche versus strategie. Complessità e sua riduzione (prima parte)

Paragrafo successivo: 1.3 Il marketing e l’inquietudine metodologica

ARDIGÒ, Achille
1990 “Presentazione” in N. Luhmann, Comunicazione ecologica, Milano, Angeli

CERTEAU, Michel de
1980 L’invention du quotidien, Paris, Union Générale d’Edition

DOUGLAS, Mary – ISHERWOOD, Baron
1979 The World of Goods. New York: Basic Books (tr.it, Il mondo delle cose, Bologna, Il Mulino, 1984)

ECO, Umberto
1964 Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani

FADINI, Ubaldo
1988 Il corpo imprevisto. Filosofia, antropologia e tecnica in Arnold Gehlen, Milano, Angeli

GEHLEN, Arnold
1984 L’uomo nell’era della tecnica, Milano, Sugarco

LYOTARD, Jean-Frncoise
1979 La condition postmoderne, Paris, Les Editions de Minuit (tr.it, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1985)

LUHMANN, Niklas
1970 Illuminismo sociologico, Milano, Il Saggiatore
1990 Comunicazione ecologica, Milano, Angeli

MAFFESOLI, Michel
1979 La conquete du present, Presses Universitaires de France, (tr.it. La conquista del presente, Roma, Ianua, 1983)
1990 L’ombra di Dioniso. Una sociologia delle passioni, Milano, Garzanti

MANCINI, Paolo
1985 “Ancora sulla tele-enunciazione politica. Destinatari e complessità sociale”. in AA.VV. Semiotica. Attualità e promesse della ricerca, Bellinzona, Edizioni Casagrande

VATTIMO, Gianni
1985 La fine della modernità, Milano, Garzanti
1989 La società trasparente, Milano, Garzanti

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